"DOLOR Y GLORIA": recensione del nuovo film di Pedro Almodovar


Dolor Y Gloria (2019) è il 22° film scritto e diretto da Pedro Almodovar, regista spagnolo conosciuto per grandi film come Donne sull'Orlo di una Crisi di Nervi (1988), Tutto Su Mia Madre (1999), Parla con Lei (2002) e Volver (2006). Nel cast troviamo Antonio BanderasAsier Etxeandia, Leonardo Sbaraglia, Nora Navas e la partecipazione speciale di Penélope Cruz.
La pellicola è stata presentata in concorso al 72° Festival di Cannes, dove è stato accolto da grandi aspettative, tutte soddisfatte: il film infatti è stato uno dei più apprezzati sia dal pubblico che dalla critica, ricevendo voti alti anche dalla giuria ufficiale della selezione principale, presieduta dal regista Alejandro Gonzalez Inarritu, aggiudicandosi il  Prix d’Interprétation Masculine al Miglior Attore per Antonio Banderas.
Di seguito la trama del film:

Salvador Mallo, un regista in crisi creativa e fisica, entra in una profonda depressione, che lo costringe ad abbandonare la sua carriera. Impossibilitato a girare film, la sua vita si annulla e l'unica cosa che può fare è aggrapparsi ai ricordi, della sua infanzia, del suo lavoro e dei suoi desideri, rivivendo così tutti i momenti fondamentali della sua vita.

Almodovar ritorna sulle scene, dopo Julieta del 2016, con un film personale, intimo e, non credo ci siano ormai più dubbi, fortemente autobiografico. Attraverso il racconto della vita del protagonista, guarda caso un regista in crisi, Almodovar racconta la sua vita, il suo passato: Salvador Mallo, quindi, è Pedro Almodovar, e gli indizi disseminati lungo il corso della pellicola sono tanti, non solo la curiosità del nome (in cui sono contenute tutte le lettere che compongono "Almodovar") o l'aspetto del personaggio, fortemente somigliante al regista.
Una riflessione sul ruolo di regista, sui drammi interiori di un uomo, sull'arte e, soprattutto, sul Cinema. In questo senso, il film è anche una dichiarazione d'amore, una cartolina piena di affetto, verso il Cinema in generale, per far capire quanto quest'ultimo sia stato fondamentale, e continui a esserlo, nella vita del regista e per evidenziare il suo potere salvifico nei confronti della carriera di Almodovar...ma Dolor Y Gloria non è solo questo.


La narrazione viene portata avanti attraverso i ricordi del protagonista, che rivive alcuni momenti della sua infanzia e il rapporto con alcune delle figure principali della sua vita, affettiva e artistica, come sua madre (interpretata da una Penelope Cruz sempre in gran forma), un attore con il quale aveva collaborato per un vecchio film per poi non rivederlo più (Asier Etxeandia) e un uomo con il quale aveva avuto una relazione (Leonardo Sbaraglia). Ma per superare la sua depressione non può limitarsi a ricordare, deve risolvere vecchie questioni rimaste per troppo tempo in sospeso, deve fare finalmente i conti con i vecchi fantasmi del passato, se vuole avere almeno una possibilità di ritornare alla sua carriera.
Il film è tutto costruito sull'alternanza di due diversi piani temporali, il presente vuoto e senza scopo, e il passato ricco di nostalgia ma, anche, di dolore. Queste due dimensioni temporali si alternano e si intersecano in completa libertà e fluidità, senza particolari elementi visivi, se non il cambio di personaggi e ambientazioni, che distinguono il presente dai continui ricordi/flashback del protagonista...se così si possono chiamare. Un ruolo importante, però, nella definizione delle atmosfere e dell'interiorità del protagonista, è giocato dalle musiche, quasi completamente composte da Alberto Iglesias ad eccezione dell'unico brano non originale, ovvero Come Sinfonia di Mina.


Elemento cardine è sicuramente la prova attoriale di Antonio Banderas. La sua interpretazione qui è incredibile, tanto che a stento si riconosce l'attore dietro al personaggio di Salvador Mallo per quanto appare trasfigurato: lo stesso Banderas ha dichiarato di aver dovuto, e voluto, annullare sé stesso per riuscire a entrare completamente nel ruolo. Invecchiato, ingrassato, stanco e dolorante, l'attore regala al pubblico una delle sue migliori prove, con la quale riesce a esprimere tutta la sofferenza, sia fisica ma soprattutto psicologica, del protagonista. Quella stessa sofferenza che sembra aver provato il regista nel fare questo film, in  cui indubbiamente si espone, ma non troppo, proprio come il protagonista: almeno per quanto riguarda gli eventi che compongono la trama della pellicola, in cui Almodovar, parole sue, dice di essere presente solo al 40%, ma certamente non per il sostrato più profondo ed esistenziale, all'interno del quale il regista si è riversato nella sua totalità.
 Una recitazione ben dosata, delicata, lontanissima dalla mera caricatura, attraverso la quale i sentimenti vengono mostrati con piccoli gesti e, soprattutto, dagli occhi. Un'interpretazione riuscitissima anche grazie, e bisogna dirlo, al magistrale lavoro di messa in scena, un'attenzione quasi ossessiva alla scenografia, che tende a ricostruire molto fedelmente la vera casa del regista, tra uso di colori forti e contrastanti, opere artistiche e numerose citazioni cinematografiche, soprattutto al cinema italiano, come il manifesto di 8 e mezzo di Federico Fellini o il DVD di Mamma Roma.


Un film, per concludere, davvero molto curato, delicato, intimo e personale, diretto da un Almodovar cambiato, lontano dai suoi ultimi lavori ma forse proprio per questo molto apprezzato dalla critica internazionale e dal grande pubblico. Una riflessione profonda e, si percepisce, dolorosa su se stesso e sul mondo del Cinema, con un grande Antonio Banderas che viene usato a tutti gli effetti come l'alter ego del regista, così com'era Marcello Mastroianni per Federico Fellini. Una vera esperienza estetica, la rappresentazione di un lungo atto creativo di un regista, quello dietro la macchina da presa come quello davanti, che ha bisogno di guardare dietro di sé per ritrovarsi davvero. Una pellicola non semplice, che ha bisogno del suo tempo per costruirsi e mostrarsi in tutta la sua bellezza: un film d'autore per eccellenza, dunque, che ha al proprio interno tutti gli elementi che avrebbero potuto portarlo al'ambita Palma d'Oro, ma così non è stato.

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